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Ci sono sette isole, vulcaniche, una completamente diversa dall’altra. Misteriose, selvagge, piccole, abitate sin dal neolitico, pregne di storia Greca e Romana di magia e fascino mitologico. Portano il nome del dio Eolo. Ed io muoio per loro. Sono sicura, adesso che ho studiato lo posso dire, una majara mi avrà fatto una fattura e avrà legato il mio cuore lì per sempre, a giacere nella pomice, nell’ossidiana, nelle rocce rosse e in quel mare. Dall’età di otto mesi, quando ci arrivai per la prima volta…o forse anche da prima, forse anche il cuore di mia mamma, quello di mia nonna, della mia bisnonna e così via, sono ancorati a quei fondali, i loro forse ancor di più essendoci nate nelle isole. Quei fondali sono cambiati nel tempo, fino agli anni ottanta si lavorava ancora la pomice e allora erano bianchi e anche il mare lo era. E alcune spiagge erano interamente fatte di pietra pomice, bianche. D’inverno tutto tace, le grandi tempeste, i colori cambiano, alcuni isolani si seccano altri si riposano e si rigenerano e si preparano perché da Maggio comincia il folle, allegro, opprimente, sbalorditivo, redditizio… turismo. Con quello si sostengono le isole ora, prima c’era la pesca, c’era la terra. Prima. Cosa c’era prima? Prima non c’era la corrente elettrica! Ecco, ci sono ancora delle zone senza luce e quante stelle si vedono. Prima non c’erano le navi cisterna che portavano l’acqua. C’erano le cisterne che si riempivano con la pioggia e quando volevi l’acqua…questo me lo ricordo, me lo ricordo perché avevo una zia, una propro zia che era nata nel 1904, signorina, non si era mai spostata dalla sua frazione di nascita Acquacalda, fino all’età di ottanta anni. Quando andavo a casa sua e avevo sete, lei apriva uno sportellino di ferro nel muro e da dentro usciva un fresco, se ti affacciavi ti sgridavano, poi dentro ci buttava 'u cicciu, e quando lo tirava su era pieno di acqua fresca. Solo ora mi rendo conto di non aver fatto mai domande e quante cose vorrei sapere...
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